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Nel corpus pittorico di Chiara Del Vecchio, ciò che è fugace diventa sostanza, ciò che è indistinto acquista voce. Con gesti calibrati e sapienti, l’artista plasma un’estetica dell’impercettibile, dove la visione si fa esperienza intima, quasi mistica, e la superficie pittorica si trasforma in luogo di rivelazione. È un’arte che non si concede al primo sguardo, ma pretende lentezza, silenzio, abbandono.
La sua materia — acrilico aerografato con minuziosa delicatezza — non è semplicemente un mezzo espressivo, ma un linguaggio concettuale. Il colore, ridotto a pulviscolo, si deposita sulla tela come una traccia mnestica sulla coscienza, come se la pittura stessa fosse una forma di respiro del ricordo. Sfuma, vibra, si dissolve. Nulla è assertivo, eppure tutto parla. Tutto pulsa. Ogni ritratto, ogni figura umana si affaccia da un altrove che è insieme collettivo e profondamente personale: volti che non si impongono, ma che si rivelano come apparizioni interiori, evocando nel riguardante un riconoscimento profondo, antico, a tratti ineffabile.
Chiara Del Vecchio compie un’operazione che potremmo definire poetico-scientifica. La sua pittura, visivamente sospesa e concettualmente densa, si fa immagine di un universo in costante mutazione. I corpi che raffigura non sono entità stabili, ma aggregati di energia vibrante, mai identici a sé stessi, in perpetuo movimento. Una visione coerente con le più attuali letture della realtà, dove la materia è instabilità e la percezione un atto in continua ridefinizione. Le sue opere interrogano le forme dell’identità e della visione nel contesto liquido del nostro presente: un’epoca in cui — come suggerisce Bauman — le strutture si dissolvono e le definizioni si ammorbidiscono, lasciando spazio a esistenze più fluide, più intime, più vere.
È proprio in questa fluidità che si dischiude, sorprendentemente, un ritorno: non verso un ordine idealizzato o perduto, ma verso una verità più interiore, più autentica. Le figure immerse nelle atmosfere rarefatte di Del Vecchio non denunciano lo smarrimento dell’io, ma ne tracciano la riscoperta. Anche i riferimenti letterari — come l’evocazione sottile di American Psycho, che nella sua narrativa mostra volti confusi, indistinguibili — non conducono all’alienazione, bensì offrono un contrappunto poetico al gesto dell’artista, che attraverso la sfocatura restituisce a ogni volto una singolarità intima, un’anima che pulsa sotto la superficie. Dove la società confonde e uniforma, Del Vecchio separa e distingue. Dove il presente sovraespone, l’artista vela. Ed è proprio in quel velo che si cela la possibilità di un contatto più vero, più profondo.
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Painting, My biggest passion and my biggest frustration
Chiara Del Vecchio
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La sua arte è, in questo senso, profondamente umanista. È un invito alla riconnessione, al raccoglimento, alla contemplazione. Ogni dissolvenza è una soglia, una porta d’accesso a uno spazio più essenziale. Le sue immagini non urlano la perdita del senso, ma sussurrano una nuova forma di verità: quella che si coglie non con l’intelletto, ma con la memoria, con l’empatia, con l’ascolto. Una verità che non si impone, ma si lascia abitare.Il gesto pittorico di Chiara Del Vecchio è intriso di silenzio e di presenza. Le sue opere sono leggere come un respiro, eppure lasciano un’impronta duratura. Non illustrano, ma evocano. Non spiegano, ma accolgono. In esse, la distanza tra visione e percezione si annulla. Lo spettatore non è chiamato a comprendere, ma a sentire. A riconoscersi.Osservare un’opera di Del Vecchio significa accettare di attraversare un campo visivo che sfugge alla logica della definizione. In questa esperienza, lo sguardo non possiede ma cerca, si orienta tra strati di trasparenza, attiva un processo che è al tempo stesso estetico e psicologico. L’opera si fa specchio, non dell’apparenza, ma della nostra interiorità più profonda. Il volto che affiora non è quello di un altro, ma un riflesso della nostra stessa memoria, dei volti amati, dimenticati, ritrovati. La sfocatura non è un'assenza, ma una possibilità infinita di presenza.
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Il suo atto pittorico può essere letto come un rito laico, intimo, che cerca di ricomporre una frattura diffusa tra l’essere e il sentire. Laddove l’arte contemporanea spesso rincorre la provocazione o la decostruzione, Chiara Del Vecchio compie un gesto diverso, quasi controcorrente: ricuce, ricompone, ascolta. I suoi dipinti custodiscono una spiritualità laica, un’essenza meditativa che invita non alla fuga, ma all’attenzione. Sono immagini che non impongono interpretazioni, ma generano silenzi, aperture, varchi.Nel lavoro dell’artista non c’è né nostalgia né disincanto. Vi è, invece, la scelta radicale di rallentare, di restituire valore all’indistinto, di custodire l’ambiguità come spazio generativo. Ogni tela è un gesto di cura, una meditazione visiva che ci invita a spogliarci dell’urgenza del visibile per riappropriarci della complessità del sentire. L’immagine non si offre come verità, ma come possibilità.Le opere di Chiara Del Vecchio sono icone atemporali, impregnate di un lirismo sospeso. Non chiedono di essere comprese, ma attraversate. Si offrono come stanze interiori in cui risuonano sentimenti lontani, associazioni inconsce, frammenti di memoria che riemergono, come da un sogno, nell’incontro con la materia sfumata del colore. Lo spazio pittorico diventa spazio mentale: un luogo quieto, quasi onirico, in cui la visione si fa esperienza tattile, e la distanza tra opera e osservatore si colma nel gesto invisibile della riconoscenza. Riconoscere, non ciò che si vede, ma ciò che si sente.È un’arte che sfida la frenesia del nostro tempo, che celebra l’ambiguità, che ci invita a rimanere nel dubbio fertile dell’indefinito. Una pittura che non teme il non sapere, ma lo abita. Che apre varchi, non li chiude. In ogni velatura, in ogni vibrazione liquida e sospesa, si manifesta la tensione verso qualcosa che sta altrove — e che, proprio per questo, ci tocca con forza inaspettata.Chiara Del Vecchio ci consegna un atlante di visioni in cui il tangibile si fonde con l’intangibile, e la superficie si fa soglia. Attraverso la dissoluzione del segno, ci restituisce l’occasione preziosa di vedere ciò che spesso ci sfugge: l’impercettibile vibrazione dell’esistenza, quella che ci attraversa, silenziosa, e ci rende, ancora una volta, profondamente umani.
Con una vasta gamma di soggetti, dai ritratti di persone a scene di vita quotidiana, Chiara Del Vecchio vanta collaborazioni con marchi iconici dall’automobilistica al mondo della moda, per citarne alcuni Ferrari, Alfa Romeo, Calzedonia e Ferrero. I suoi quadri fanno parte di importanti collezioni private, tra i suoi collezionisti famosi attori e cantanti. Nominata “artista da guardare”, nel 2011 è stata selezionata da Vittorio Sgarbi per partecipare alla 54° Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. Un’altra pietra miliare è stata un commovente dipinto commemorativo del Santo Padre, commissionato e donato dallo Stato di San Marino e riprodotto su un francobollo a tiratura limitata.
Prendendo parte a mostre collettive e personali, sia in gallerie internazionali che in fiere d’arte, le opere dell’artista italiana sono state esposte in tutto il mondo, da Londra a New York, Miami, Istanbul, Milano, Mosca, San Francisco, Parigi, Monaco e tante altre.
Attualmente vive e lavora tra New York e Milano.
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I WAS CREATED TO CREATE
Chiara Del Vecchio